Emica è nata con l’obiettivo principale di promuovere un approccio aperto alle pluralità, per contrastare le discriminazioni e le violenze che attraversano la nostra società.
Quando si parla di violenza sulle donne, per prima cosa, il nostro pensiero si rivolge alle vittime di femminicidio, 60 dall’inizio del 2020 in Italia: vite spezzate che rappresentano la conseguenza più estrema di una cultura diffusa dell’oggettificazione e del possesso.
Queste morti non vengono dal nulla, sono un fenomeno allarmante che, se analizzato nella sua complessità, risulta essere la punta di un iceberg, costitutivamente legato a moltissime altre dinamiche di violenza di genere, anche se talvolta meno evidenti o addirittura istituzionalizzate.
Pensiamo al mondo del lavoro e al divario di genere sia in tema salariale che nei tassi di occupazione; pensiamo all’uso del linguaggio, alla divisione del lavoro domestico e di cura, alla mancata tutela della salute – intesa come concetto onnicomprensivo – e dell’autodeterminazione delle donne. Pensiamo alla scarsa rappresentazione e presenza delle donne nella politica istituzionale e nei ruoli dirigenziali. Riconosciamo la violenza nelle grandi e piccole aggressioni quotidiane, in quella che viene anche chiamata rape culture: le molestie fisiche e verbali, le aggressioni sessuali, i giudizi e i commenti da strada, le dinamiche di potere che si riproducono sui corpi e sulle soggettività femminili. La sopraffazione, l’abuso e la violazione del consenso si sono evoluti con la tecnologia, che diventa spesso veicolo e modalità per reiterare forme di violenza.
Questo tipo di pensiero è talmente radicato nella nostra società da essere agito, talvolta, addirittura dalle donne stesse, intossicate – probabilmente – da questa mentalità che viene praticata “da sempre”, da molt* considerata endemica, tradizionale, naturale.
Siamo abituat* a osservare e percepire “due pesi e due misure”, a prendere atto che per le donne (e non solo) il mondo sia un luogo meno sicuro, e a lasciar loro la responsabilità di proteggersi: è considerato normale dover adottare contromisure quotidiane per difendersi dalla violenza, evitare pericoli, aggressioni, sguardi e attenzioni non desiderate.
Gli stereotipi sono la radice di queste dinamiche, che vanno ad agire permeando la cultura dominante, sui corpi e per mezzo dei corpi, delineando una costruzione sociale discriminatoria che si riproduce e auto-giustifica con pretese di naturalità. L’idea di una divisione naturale dei ruoli di genere, con tutti i privilegi che essa presuppone, è stata ed è ancora attualmente utilizzata per mantenere forme di dominio e di sfruttamento, che condividono il medesimo carattere violento del femminicidio o dello stupro.
Sappiamo, ce lo hanno dimostrato le scienze sociali, che la realtà è un costrutto parziale, collocato e costruito culturalmente: come tale, crediamo che il lavoro contro la violenza sulle donne vada agito culturalmente, stimolando il ragionamento, l’autoriflessione su noi stess* e mettendo in discussione anche ciò che ci è stato consegnato come dato di fatto inconfutabile e immutabile.
La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne è stata fissata il 25 Novembre in onore delle sorelle Mirabal. Le attiviste dominicane, che si opposero allo sanguinosa dittatura di R.L.Trujillo, vennero barbaramente massacrate dai servizi di informazione militari del regime il 25 Novembre 1960.
È con la loro memoria di donne in lotta per una società migliore che ci uniamo oggi alla ricorrenza e che ripartiremo da domani con le nostre attività e i nostri progetti, con il desiderio di produrre un cambiamento, di costruire un nuovo sguardo condiviso rispettoso delle pluralità, per riconoscere, decostruire e prevenire ogni discriminazione.
Fonti
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